Antonio Carbè – Febbraio 1990

Luciano Cirillo

Recensione a cura di Antonio Carbe Febbraio 1990

Non è sempre facile chiudere in poche cartelle tutto quello che per ore ha narrato di se un uomo.

Si può sballare, come nel gioco delle carte, e allora si va sull’agiografia dei sentimenti. Ancora più difficile quando questo uomo è un pittore. .

Devo convenire che queste difficoltà me le sono poste dopo i vari incontri con Luciano Cirillo.

Tutto si può fare derivare dalla disarmante semplicità che ispira il personaggio; ma deriva anche dalla complessa personalità del pittore.

Si può avere, un attimo, la voglia di mettersi in “difesa” quando Cirillo inizia a metterti davanti le sue opere perchè sono molte, e un attimo di sgomento ti può prendere quando capisci che questa carrellata inizia dalle “prove” fatte nel periodo scolastico.

Poi il suo parlare che ti convince, il suo modo di spiegare il perchè del suo amore per la pittura e ancor più il suo coinvolgimento intellettuale per i problemi umani.

Siano essi la famiglia, la gioventù, la natura. Il percorso artistico di Cirillo inizia giovanissimo.

Il ragazzo ama disegnare, e lo fa con l’impegno di uno che sa di avere avuto dalla natura un dono particolare.

A Milano, dove viene a vivere, diligentemente, sotto la direzione di ottimi maestri, frequenta i corsi di Brera, conosce stimati pittori, impara il “mestiere”. Di questo periodo sono i moltissimi dal vero.

Ma già si nota una certa propensione a mettere in questi compiti scolastici qualcosa in più, cioè di suo. La struttura della composizione Cirillo l’affronta con una serie di nature morte.

Dalla scuola di nudo, io direi dallo studio del corpo umano dal vero, vengono i quadri che il pittore dedica alle figure familiari, ai ritratti. Ma Cirillo ha dentro qualcosa in più da dire. Le istanze sociali e umane, accompagnate da studi e letture, e ancor più stimolato (potrei azzardare coinvolto?) da quando da quegli anni in poi veniva proponendosi ad una conoscenza più vissuta della società, trovava nel pittore un partecipe attento e, direi, sofferto.

Le esperienze culturali maturate con i grandi quadri ispirati alla Divina Commedia del nostro sommo Dante, trovano una loro precisa conclusione espressiva nei temi della droga, del degrado ambientale, della difficoltà del vivere.

Non penso che Cirillo volesse fare dei quadri di denuncia pietistica, ma una cronaca di fatti e situazioni che dovevano coinvolgere lo spettatore come una immagine televisiva.

Ben sappiamo quanto una drammatica immagine che passa veloce sul piccolo schermo televisivo possa colpire ed essere ricordata dai mass-media (certo più di un articolo su di un giornale).

Infine la grande svolta.

Cirillo viene a contatto con le esperienze più avanzate della pittura internazionale.

Cirillo affronta la pericolosa strada dell’astrattismo con il suo personale bagaglio di esperienza pittorica e riesce a non essere coinvolto nella banalità del “tutto e del nulla” che a volte è la pittura astratta. Però è da tutti risaputo che i più grandi maestri astratti sono stati dei “figurativi”. La costruzione di un quadro la si impara dipingendo un albero! Dopo può accadere tutto o nulla.

Le ultime esperienze creative di Cirillo hanno raggiunto questo “tutto” nel quale confluiscono, nell’armonia della composizione, le parti migliori della sua pittura e della sua poesia.

Non a caso il pittore è anche poeta. E lo si sente